Nei cicli dei mesi Ottobre viene dedicato sia alla vinificazione – ad esempio può essere identificato con il vino travasato nelle botti- sia ad altre occupazioni autunnali, come la nutrizione del maiale con le ghiande che maturano proprio in questa stagione e la semina del grano. In quest’ultimo caso i contadini sono solitamente ritratti mentre tengono i chicchi nel grembiule e li spargono sul terreno con la mano libera; alle volte il seminatore viene seguito da chi ricopre i semi con l’aiuto dei buoi[1]. Un’altra iconografia è quella delle trappole per uccelli, la cui caccia iniziava proprio ai primi freddi[2].
I segni progressivo trascorrere delle stagioni stanno nelle specie vegetali con cui vengono solitamente accompagnate le personificazioni di Ottobre: ghirlanda di quercia con le ghiande, sorbe, funghi, castagne. Gli stessi colori delle vesti dei personaggi spesso ricordano le tonalità calde delle foglie autunnali[3].
Il segno zodiacale del mese è lo Scorpione, in ciò si vedeva un riflesso dell’instabilità climatica del periodo: così come lo scorpione dà la morte pungendo, nello stesso modo il Sole, proprio a causa delle variabili condizioni atmosferiche, apporta malattie pericolose [4].
Ottobre deriva il nome dalla sua posizione rispetto a marzo, primo mese dell’anno secondo i Romani. Ripa ricorda però che fu, per decreto del Senato, anche chiamato Domiziano, in onore dell’Imperatore, ma tale risoluzione fu poi cancellata e il mese riprese la sua solita denominazione[5].
Nelle attività agricole prima citate, la semina in particolare ricorda che in autunno inizia il lungo viaggio simbolico della nuova vita che, nascosta, sepolta sotto la terra ricoperta di neve e indurita dal gelo, è solo apparentemente morta, ma non attende che di rinascere nell’infinito ciclo di rigenerazione della natura, nell’antichità incarnato dal mito di Demetra e Persefone. La morte e la rinascita sono il fulcro del Cristianesimo: il Salvatore si sacrifica per l’umanità e la sua Resurrezione sono il segno della salvezza per gli uomini, che rinasceranno a nuova vita. Nel cerchio del tempo che ritorna come le stagioni, ogni anno si ripercorrono le tappe della vita di Gesù che ogni anno si immola per noi.
Nel calendario cristiano ad ottobre si festeggia l’Evangelista Luca il quale, secondo la tradizione, eseguì il ritratto della Vergine. Alcune leggende narrano che, proprio le effigi non dipinte da mano umana, sono state rinvenute nella terra o da essa sono emerse. Le apparizioni di Maria stessa si verificano spesso su alture, ma anche in grotte, anfratti, un mondo sotterraneo scuro, capace però di generare la luce. La Vergine, nel cui ventre ha germogliato, nascosto e protetto come il seme custodito fra le zolle, il Cristo incarnato, diviene così il tramite fra cielo e terra[6].
Il mese di ottobre è inoltre dedicato al Rosario, il quale, secondo la tradizione, fu consegnato dalla Madonna a San Domenico per aiutare i cristiani contro le eresie. Il legame con ottobre nasce da un preciso avvenimento storico: la battaglia di Lepanto svoltasi il 7ottobre 1571, in cui le armate cristiane sconfissero, unite nella Lega Santa, la flotta ottomana. Papa Pio V, pontefice domenicano, legò l’importante affermazione sul nemico proprio alla protezione della Vergine del Rosario ed istituì la festa allora denominata della Madonna della Vittoria[7].
Nella nostra diocesi Ottobre è conservato in tutti e quattro i cicli ed è raffigurato in modi diversi, sempre però legati alle tradizionali attività agropastorali[8].
A Calderara è il mese in cui si ingrassano i maiali in attesa delle feste di fine anno. Il guardiano indossa abiti pesanti, calzature adeguate alla stagione e un berretto di lana ben allacciato sotto la gola; l’uomo abbacchia le ghiande, mentre due maiali mangiano tranquilli. L’abbigliamento del personaggio è completato da una alta cintura sulla quale, con realismo minuto, sono raffigurati la fibbia e due piccoli oggetti, probabilmente chiavi, poiché era prescritto che i maiali dovessero esser tenuti ben chiusi per igiene e sicurezza[9]. Il suo volto è particolarmente caratterizzato fisionomicamente: il naso all’insù, gli occhi tondi, il piccolo mento aguzzo che sbuca fuori dal berretto ed un viso paffuto.
A Rezzo Ottobre è nuovamente un personaggio raccoglitore. La figura, rispetto a quelle che la precedono, ha gli arti maggiormente proporzionati, è vestita con una giacca blu evidentemente più pesante ed è ritratta in una posa meno statica: compie infatti un passo molto ampio, mentre sta a mani giunte, come a ricevere qualcosa che cade dall’albero. Nel Santuario né Settembre né Ottobre sono esplicitamente dedicati al ciclo del vino, potrebbe essere segno di una minor presenza della vite nella zona, la quale è però citata negli statuti insieme alla vendemmia[10].
Coincidente con il mese di ottobre e particolarmente importante per la comunità rezzasca, come per altre località montane, è invece la raccolta delle castagne, poi essiccate e ridotte in farina[11], il personaggio raffigurato a Rezzo però tende le mani verso l’albero, gesto che non pare coerente con la raccolta di un frutto racchiuso dentro un riccio, solitamente percosso con una pertica.
Anche a Ranzo non viene raffigurata la nutrizione dei maiali e Ottobre è invece ancora legato al ciclo del vino: accanto ad una figurina quasi totalmente scomparsa, di cui restano solo il berretto e i piedi calzati, campeggia infatti una grande botte. Se Settembre fosse, come sembra possibile, dedicato alla vendemmia, ben due mesi in San Pantaleo sarebbero dedicati alla vinificazione.
A Diano Castello la sequenza degli ultimi mesi dell’anno sembra meno chiara. Come già detto, l’immagine più plausibile per Settembre – l’uomo che pigia l’uva immerso nel tino- viene preceduta dall’alimentazione dei maiali, la quale, come supporta l’esempio di Calderara, coincide invece con Ottobre, anche per ragioni stagionali e climatiche. L’immagine è simile, anche in questo caso le bestie stazionano tranquille sotto l’albero, ormai ridotto a esigui tratti di pittura. Come rivelano le immagini di Calderara e Diano Castello, i maiali neri, piccoli, dalle setole irte, appartengono a una razza assai diversa da quelle attualmente più allevate. Il loro guardiano, rivolto verso le fronde, fa cadere a terra le ghiande. L’uomo è ovviamente ben coperto: cappello appuntito, blusa di colore rosso dall’ampio colletto bianco, brache aderenti e nere, scarpa alta sino al malleolo.
Questa iconografia è diffusissima[12]a testimonianza di quanto fosse importante il loro allevamento per l’economia e l’alimentazione medievali: erano un bene di inestimabile valore per le famiglie, addirittura erano ritenuti non sequestrabili all’insolvente, insieme al letto e al vestito.
L’animale inoltre è, secondo la tradizione iconografica, inseparabile compagno di Sant’Antonio abate, considerato protettore dal così chiamato fuoco di Sant’Antonio[13], che in epoca medievale era però patologia diversa dall’attuale ed era molto diffusa, specie presso popolazioni rurali e povere[14]. I maiali erano allevati dagli stessi monaci antoniani, tali suini, contraddistinti da un campanello, godevano di speciali diritti, ed il loro lardo era usato nella cura della terribile malattia[15]. Sant’Antonio era inoltre venerato anche quale protettore degli animali, i quali avevano un ruolo fondamentale nella vita quotidiana: lavoro e alimentazione erano infatti garantiti da bestiame sano e robusto[16].
[Testo di Anna Marchini]
Bibliografia
Calvini N. 1988, Gli statuti comunali di Diano (1363), in Miscellanea di Storia, arte, archeologia dianese, Quaderni della Communitas Diani.
Caraffa F., Ricoli A., Cirmeni Bosi M. 1962, voce S. Antonio Abate, in Bibliotheca sanctorum, coll.106-36, Roma.
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Durand de Mende G. 1859, Rationale divinorum officiorum, Napoli.
Giardelli P. 1991, Il cerchio del tempo. Le tradizioni popolari dei Liguri, Genova.
Hall J. 2002, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, Milano.
Macchiavello S. 2000, Liber iurium ecclesiae comunitatis, statuorum Recii (1264-1531). Una comunità tra autonomia comunale e dipendenza signorile. Regione Liguria, Assessorato alla cultura, Società Ligure di Storia Patria, Genova.
Mâle E. 1986, Le origini del gotico. L’iconografia medioevale e le sue fonti, tr. it., Milano.
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Ripa C. 2005, Iconologia, Milano.
Šebesta G. 1996, Il lavoro dell’uomo nel ciclo dei Mesi di Torre Aquila, Provincia Autonoma di Trento, Dipartimento Cultura Servizio Beni Culturali, Castello del Buonconsiglio.
[1] Hall 2002, p.144; Mâle 1986, p.85; Ripa (ed. 2005) , p. 283.
[2] Ripa (ed. 2005) , p. 286: “Un giovane in un prato, & in esso mostri di haver piantato molte frasche, & in quelle si vede averci tesi sottilissimi lacci & reti, acciocche gl’uccelli non pur non s’avvedano dell’inganno. Ciò significa che nel mese di Ottobre si dà principio alle caccie per pigliar gli uccelli”.
[3] Ripa (ed. 2005) , p. 279: “Gli si da il vestimento di color incarnato, perche declinando il Sole nel Solstizio hiemale comincia à restringersi l’humore delle piante, onde con le loro foglie diventano di detto colore”.
[4] Durand de Mende (ed. 1859), p. 728: “Octavius est Scorpius, sicut enim scorpius venenosus est et pungit, sic et tempus illud morbosum est propter inaequalitatem aeris: est enim mane frigus pungens, et in meridie calura urens”. Ripa (ed. 2005) , p. 279.
[5]Ripa (ed. 2005) , p. 279.
[6] Cardini 2003, p. 177.
[7]Cardini 2003, p. 178.
[8] Le seguenti considerazioni sono tratte da Marchini 2005-2005, pp. 85-125.
[9] Sui danni provocati dai maiali lasciti liberi, giardelli 1991, p. 36. Il timore era, ad esempio, che si introducessero in casa e mordessero i bambini, tanto che in alcuni casi era prescritto che, se tenuti liberi, dovessero esser accecati, calvini 1988, pp. 65 – 66.
[10] Sulla minor importanza della viticoltura a Rezzo a causa del clima De Moro 1988, p. 85. Sulla vite negli Statuti di Rezzo Macchiavello 2000, p. 87.
[11] Sull’introduzione della coltivazione della castagna a Rezzo De Moro 1988, p. 83. A Rezzo, specificano che i castagneti venivano banditi dal momento in cui le castagne iniziavano ad essere mature ed a cadere sino al giorno di San Martino (11 novembre). macchiavello 2000, p. 71.
[12] Šebesta 1996, pp. 189-194; mâle 1986, p. 85.
[13] caraffa, ricoli, cirmeni, bosi 1962, in Bibliotheca sanctorum, cc. 106 – 136.
[14] «La terribile malattia, identificata in seguito con l’ergotismo canceroso (…) dipendeva dall’infezione tossica provocata da un micete parassita presente nella segale, adoperata dai ceti più poveri per la confezione del pane (…) Scomparso questo morbo, si passò ad indicare con il nome di fuoco di Sant’Antonio, l’herpes zoster… », giardelli 1991, pp. 36 – 37.
[15] Sul legame fra i monaci antoniani, il maiale e il declino dell’ordine a fine Settecento, quando non si verificano più gravi epidemie, giardelli 1991, pp. 35 – 37.
[16] Il 17 gennaio, sua ricorrenza, in alcune località è ancora impartita la benedizione agli animali.