Luce-vita-amore sono tematiche che risuonano non solamente nei versi monumentali dell’Epica, da Omero a Virgilio, ma anche nelle più tenui espressioni dei poeti lirici che, scampati per ignoto e capriccioso destino al comune naufragio della letteratura antica, giungono a noi in forma di frammento. Lo stato frammentario della loro conservazione costituisce però un suggestivo riflesso, quasi una materializzazione, del loro contenuto, intimo e personale, legato all’esperienza esistenziale del singolo, del qui e adesso, reso universale dalla poesia: delicata corrispondenza tra forma e contenuto.
Frammento di vita, scheggia di interiorità, barlume di umanità sono i versi lirici sopravvissuti, che la perizia o talvolta la provvida pedanteria degli eruditi ci hanno trasmesso. Il travaglio, il dissidio interiore tra la vita che fugge e si spegne, l’amore che vive e perdura ci sono restituiti da questo frammento di Mimnermo di Colofone (600-550 a. C.?):
Quale vita, quale gioia senza l’aurea Afrodite?
Possa io essere morto, quando non mi stiano più a cuore queste cose,
l’amore segreto, i dolci doni e il letto,
che sono fiori fugaci della giovinezza
per uomini e donne; ma quando sopraggiunge l’odiosa
vecchiaia, che rende l’uomo turpe e brutto allo stesso tempo,
sempre nell’animo lo tormentano tristi pensieri, né gode al vedere i raggi del sole,
ma è odioso ai giovani, disprezzato dalle donne:
così dolorosa un dio rese la vecchiaia.
Neppure la vista del sole, la luce che irradia ogni mortale, può consolare il poeta che, trascinato dal tempo, sconvolto dal ricordo di un amore non più corrisposto (l’aurea Afrodite) è destinato al disprezzo e alla penosa condizione della vecchiaia. La luce del sole senza l’amore – l’amore terreno, l’amore sensuale – è tenebra. Nessuna luce soprannaturale, nessuna luce divina riscalda i versi di Mimnermo, che approda con ciò ad una visione radicalmente disincantata della condizione umana. Non per nulla Giacomo Leopardi avvertirà una speciale empatia con il poeta di Colofone, così lontano nel tempo, eppur così vicino.
In foto un’antologia dei Lirici greci, presente nella collezione della Biblioteca Diocesana, curata da Giuseppe Lipparini (1877-1951); fu docente, critico letterario ed egli stesso scrittore e poeta, autore di liriche neoclassicistiche di sapore carducciano.
[Testo a cura di Don Francesco Ramella]