La luce è presenza costante nell’Eneide di Virgilio; essa contribuisce potentemente alla definizione di quei paesaggi che hanno giustamente reso celebre il cantore di Augusto.
Essa è aurora nel tragico giorno in cui si consuma la sorte esiziale di Didone:
Et iam prima novo spargebat lumine terras
Tithoni croceum linquens Aurora cubile.
Regina e speculis ut primam albescere lucem
vidit et aequatis classem procedere velis,
litoraque et vacuos sensit sine remige portus,
terque quaterque manu pectus percussa decorum
flaventisque abscissa comas…
(IV, vv. 584-590)
E gia la prima Aurora lasciando giaciglio di croco
di Titone spruzzava le terre di nuova luce.
La regina dalle vedette come vide biancheggiare la prima
luce e la flotta procedere a vele spiegate,
e s’accorse dei lidi e dei porti vuoti senza un rematore,
percuotendo il bel petto con la mano e tre e quattro volte
e sciolta nelle biondeggianti chiome…
Una bella edizione ottocentesca dell’Eneide è custodita nella Biblioteca Diocesana, tradotta e commentata dal Padre Solari, scolopio e rivoluzionario, celebre per aver tradotto in italiano le tre opere principali di Virgilio in endecasillabi sciolti e secondo la tecnica dei « versi paralleli », ovvero rispettando il numero di verso originale.
[a cura di Don Francesco Ramella, vicedirettore della Biblioteca Diocesana]