La “Lettera agli artisti” firmata da san Giovanni Paolo II sorprende per numerosi motivi, uno tra i quali è quello di imbattersi, all’interno del testo, in Dante, Dostoevskij, Claudel, Florenskij e altri, grandi personaggi della cultura. Da un lato ciò è possibile, essendo il Papa stesso drammaturgo, poeta, scrittore, attore: tutte realtà artistiche dal fascino aperto al testo della lettera. D’altra parte essa accende e sviluppa un percorso a partire da un’esperienza artistica anche personale verso una intensa traccia teologica da lui condotta in chiave strettamente trinitaria. L’artista, infatti, partecipa all’opera creatrice del Padre, che il Figlio ha fatto irrompere luce e verità nel mondo, rendendo visibile all’occhio, alla mente e al cuore l’arte come epifania della bellezza divina.
La parola “arte”, dal latino ar-tem è formata dalla radice “ar” ha il senso principale di “mettere in moto”, “muoversi verso qualcosa”. L’artista è colui che, mosso dalla bellezza, si incammina per inseguire una vocazione a cui non riesce a sottrarsi perché la bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente: sfuggirle o negarla genera una infelice amputazione dell’anima.
Durante il suo Pontificato nasce intorno a Wojtyla un alone di complicità fra Papa ed artisti di ogni disciplina e qualità.
Il Santo Padre incoraggia l’appartenenza e l’agire dell’arte nella Chiesa secondo le varie espressioni e sviluppa l’entusiasmo e il desiderio di esprimere le proprie capacità artistiche ed ecclesiali. È così che, nella primavera del 1983, il “Coro S. Pietro di Leca d’Albenga”, diretto da Carlo Lanteri, viene invitato a Roma per animare la Messa nella basilica di San Pietro e alla “Messa degli artisti”, presso la basilica di Santa Maria in Montesanto. L’intento era semplice: recarsi a Roma in una sorta di pellegrinaggio per rendere grazie alla bellezza che la musica suscitava all’interno di una piccola ed armoniosa corale. Chi scrive ha partecipato a quel viaggio in treno, alle corse nelle vie romane, all’emozione delle voci che si miscelavano negli echi incantati delle volte di San Pietro e nell’estasi raccolta dagli artisti nella loro piccola chiesa “gemella”. Quel giorno qualcuno capì quanto sia vero l’invito della liturgia: “Insieme agli angeli e ai tuoi santi cantiamo”. Non si tratta di formule passeggere, ma di una nuova epifania in cui l’arte e la fede, insieme, si scoprono bellezze da vivere quaggiù. E chissà che nell’ultimo giorno, in Paradiso, qualcuno possa a ricantare in dialetto, con la sua piccola voce, la grande preghiera al “Padre nostro Santo”.
[a cura di G.B. Gandolfo]