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29 Giugno 2024
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Il legato di Filippo Aschero per Santa Margherita di Mendatica

di Anna Marchini  

La chiesa di Santa Margherita appare oggi isolata, su un crinale poco fuori Mendatica; in realtà era la parrocchiale del Borghetto, piccolo nucleo suddiviso in borgate ed oggi scomparso, di cui merita raccontare brevemente la storia. La prima menzione del paese risale al 1323, all’interno di un documento in cui si registra la suddivisione della zona di Cosio, Mendatica e Montegrosso tra i Conti di Ventimiglia ed i Lengueglia; nello specifico la signoria su Borghetto e Montegrosso era condivisa da entrambe le casate. Secondo quanto compare, invece, in un documento del 1555, Borghetto ricade sotto la giurisdizione di Mendatica, che nella ripartizione era spettata ai soli Lengueglia. La situazione, già di per sé intricata, si complica drammaticamente con l’acquisizione sabauda della Valle di Oneglia e dei possedimenti dei Ventimiglia, fra 1575 e 1576.  L’alta Valle Arroscia, proprio per la sua posizione strategica tra costa ed entroterra, in cui i possedimenti già dei Ventimiglia ed ora dei Savoia si intersecano con quelli Genovesi,  diviene terreno di aspri, sanguinosi e secolari conflitti. In zona, Montegrosso e Borghetto (un tempo per metà dei Conti) giurano fedeltà ai Duchi sabaudi, ma  ovviamente ciò non viene accettato dalla Repubblica di Genova. E’ all’interno di tali contese che si colloca la distruzione di Borghetto, la quale, pur senza certezza documentaria,  dovrebbe risalire al 1625, durante la Guerra tra la Repubblica di Genova ed i Savoia. Solo la chiesa fu risparmiata dalla devastazione. Ciò ci consente di poterne ammirare ancor oggi la semplice struttura e soprattutto il ricco corredo di affreschi che vi sono contenuti. La zona absidale ospita in particolare le Storie di Santa Margherita d’Antiochia, la santa titolare, mentre sulla parete destra ed in controfacciata si sviluppa il Ciclo della Passione di Cristo; tutti gli interventi sono stati ricondotti alla mano di Pietro Guido da Ranzo.

Noi però ci soffermiamo su una raffigurazione realizzata in alto, sull’arcone della prima campata. Qui, fatto ad oggi pressoché unico, non viene rappresenta una scena sacra, bensì si ritrae il momento in cui Filippo Aschero detta il proprio testamento ad un notaio e lascia un legato proprio alla chiesa di Santa Margherita, cui cede il reddito di una terra detta Rovoira, perché i massari provvedano a farvi celebrare messe in perpetuo. Ci si trova di fronte ad uno straordinario caso di “testimonianza fotografica”, alla  raffigurazione di un evento del quotidiano cui si vuol dare certezza e solennità attraverso la forma dell’affresco, destinato a durare nel tempo così come il ricordo del vincolo del legato. Ad evitare qualsiasi errore, il tutto viene anche corredato da una esauriente scritta esplicativa. La comunicazione era, quindi, contemporaneamente destinata a coloro che erano in grado di leggere e a coloro che dovevano solo affidarsi al linguaggio delle immagini, poiché realmente tutti potessero sapere e ricordare. L’epigrafe, oltre a ricordare il nome del donatore e la natura del legato, pone proprio l’accento sul valore di testimonianza nel tempo affidata all’affresco che si dichiara essere stato voluto dai nobili Martino Lorenzi e Paolo Aschero, affinché di tale legato non si perda memoria “… memoria ut legatun preditum nun anichilatur”. Il testo è rappresentato come scritto su un ampio foglio, forse una pergamena, che pare srotolarsi davanti agli occhi del lettore. Nello spazio inferiore della cornice che inquadra la scritta compare la data – 2 dicembre 1531- la quale potrebbe riferirsi all’esecuzione della pittura muraria piuttosto che al momento dell’istituzione del legato (fig. 1).

L’iscrizione viene ricordata anche nel Sacro e Vago Giardinello, in cui si individuano ed elencano, sempre con particolare attenzione e precisione, i beni ecclesiastici,  per preservarli, evitando vendite o cessioni arbitrarie e non consentite che avrebbero impoverito le parrocchie e la Diocesi.  La sua recente pubblicazione consente di ritrovarne facilmente la menzione:” L’oratorio Campestre di S. Margherita tien un legato lasciato da M. Filippo Aschero per celebratione di Messe per il reddito d’una terra chiamata Ronoira com’appare da un’epitaffio descritto nel muro à cornu epistole l’anno 1531. à xi di Decembre. Da notare come Santa Margherita venga definita oratorio campestre, segno della già avvenuta distruzione del Borghetto e l’errore nella trascrizione del giorno rispetto a quanto compare sulla parete dell’edificio sacro. 

 

La scena rappresentata si rivela ai nostri occhi come uno spaccato del quotidiano: abiti, gesti, oggetti ci calano in una situazione distante da noi cinque secoli (fig. 2). Siamo introdotti in un interno ove il testatore, giacente a letto, detta al notaio le proprie ultime volontà, alla presenza di altri personaggi. La sintassi spaziale si rivela un poco zoppicante, come testimonia lo scorcio del pavimento sul quale le linee delle fughe delle piastrelle e il rimpicciolirsi delle loro dimensioni suggeriscono, anche se imprecisamente, la profondità. Sono proprio queste ultime, bellissime, a spiccare per la cura con cui sono definite, per la decorazione composta da un rettangolo rosso con un punto al centro, segno forse anche dello status sociale del padrone di casa. Ad ulteriore testimonianza dell’agiatezza della dimora è il baldacchino, foderato di verde, appeso ad incorniciare il letto, ed il soffitto a cassettoni, che con il loro digradare suggeriscono ulteriormente la profondità. Chiude la scena un muro anch’esso dipinto di verde.

Il malato, di cui resta solo l’ombra e poche tracce di disegno preparatorio,  è seduto nel proprio letto, di cui è evidente la struttura lignea, e sul quale si notano lenzuola e coperta. Una figura femminile gli porge qualcosa da bere da una scodella con un cucchiaio, mentre un altro personaggio accanto, vestito di rosso, leva due dita della mano destra, probabilmente nell’atto di parlare. Si è pensato si possa trattare del dottore che consiglia il medicamento che viene somministrato. 

Di fronte al giaciglio compaiono due uomini: uno più anziano, dal volto barbuto, avvolto in un mantello, pare recare qualcosa in mano e dietro un altro, apparentemente più giovane, vestito di rosso e dal capo coperto da una cuffia similmente rossa, che sembra uscire da una tenda, ovviamente verde. Seduto in primo piano accanto al malato un ulteriore personaggio, il cui volto è ormai scomparso, sembra intento a bere. Questi tre ultimi astanti sono stati interpretati come testimoni.

Il fulcro della scena è però rappresentato dal gruppo del notaio e del suo assistente. Quest’ultimo è la figura meglio conservata. Apparentemente sembra un ragazzo, un praticante forse, con il berretto rosso da cui sfugge la chioma ricciuta. Si coglie ancora il particolare della camicia bianca che sbuca dalla corta veste verde, completano l’abbigliamento le calze rosse e le scarpe. Il giovane regge il calamaio con la penna, l’oggetto appare enfatizzato nelle sue dimensioni, ulteriore accenno all’importanza dell’atto dello scrivere in una società dove la maggior parte delle persone non era in grado di farlo.

Veniamo infine al notaio che sta rileggendo quanto appena vergato. Il documento, a sottolineare ulteriormente il rilievo del legato, viene raffigurato voltato verso il pubblico; anche se la scrittura è risolta con solo rapidi segni pittorici, si vuol ribadire che tutto ciò è stato scritto e regolarmente avallato. La raffigurazione ci conferma che il notaio è un uomo importante, siede infatti su uno sgabello evidentemente più grande dell’altro, è vestito con il tipico abito stretto in vita, dal quale si nota il fuoriuscire della camicia dal polsino. Difficile capire, dato il degrado della superficie pittorica, se il tutto fosse corredato anche da un ampio colletto. Il corpo è avvolto in un solenne mantello che si appoggia sulle gambe accavallate a sorreggere il braccio nell’atto di leggere o scrivere. Infine un particolare molto evidente: tutti e tre i personaggi in primo piano (uomo seduto, assistente, notaio) mostrano le tipiche calzature in cuoio dell’epoca.

A noi resta un’ultima riflessione: il tempo ha reso giustizia alla volontà di chi ha commissionato, quasi cinquecento anni fa, l’affresco, poiché la memoria del legato di Filippo Aschero alla chiesa di Santa Margherita non è andata perduta. 

Bibliografia

  1. Fedozzi, G. Robbione, a cura di,  Sacro e Vago Giardinello, Albenga 2024.
  2. Lanteri, La castellania dell’Alta Valle Arroscia e il Borghetto, in Santa Margherita la Chiesa del Borghetto, Imperia 2003, pp. 24-34.
  3. Lantrua, Santa Margherita di Mendatica, in Santa Margherita la Chiesa del Borghetto, Imperia 2003, pp. 7-13.
  4. Sista, Santa Margherita: pareti dipinte e devozione, in Santa Margherita la Chiesa del Borghetto, Imperia 2003, pp. 40-89.

 

Chiesa di Santa Margherita, Mendatica

Fig. 1, Chiesa di Santa Margherita, Mendatica, Scena del legato.

 

Fig. 2, Chiesa di Santa Margherita, Mendatica, Scena del legato, particolare