di Anna Marchini
La chiesa di San Giorgio di Balestrino, situata all’interno dell’area cimiteriale, è un edificio ad aula unica, fatto risalire al XIV secolo, probabilmente, però, ricostruito su un luogo di culto più antico. Al suo interno sono conservati affreschi, ricondotti agli anni Venti e Trenta del XIV secolo, che si stendono su entrambe le pareti e nella zona presbiteriale, caratterizzata da una poco consueta abside rettilinea. Le decorazioni del coro sono state sottoposte a restauro e di conseguenza sono più leggibili rispetto alle altre. Nelle vele della volta si trovano gli Evangelisti, ritratti quali simboli del Tetramofo, nella lunetta della parete destra il Santo eponimo, San Giorgio che sconfigge il drago, in quella a sinistra la Natività. La parete di fondo ospita la più consueta delle raffigurazioni absidali, il Cristo nella mandorla, il quale, poiché gli Evangelisti sono raffigurati sulla volta, è accompagnato da una schiera di Santi. Ed è tra essi che si deve guardare, se si vuol scoprire un personaggio a prima vista molto curioso ed inconsueto. Alla sinistra del Pantocrator, infatti, appare una figura completamente ricoperta di ispidi peli. E’ Sant’Onofrio, la cui iconografia nella Diocesi è particolarmente rara (fig. 1).
Onofrio fu un santo anacoreta, vissuto nella Tebaide. A raccontare la sua vicenda è Pafnuzio, che, desiderando conoscere la vita eremitica per confrontarla con quella cenobitica, lascia il proprio monastero e si avventura nel deserto, ove gli appare una figura ricoperta dei suoi capelli e con poche foglie come abito, che sulle prime lo sgomenta tanto da farlo fuggire. Si tratta di Onofrio che gli racconta la propria vita, spiegando come è giunto in quella remota oasi dalla quale ricava il necessario per il proprio sostentamento terreno, mentre ogni domenica un angelo gli reca l’eucarestia. Come accade nelle vite di altri padri del deserto, Onofrio muore di fronte a Pafnuzio, dandogli il compito di seppellirlo e di tornare al suo monastero per raccontare la propria vicenda. Secondo un’ulteriore tradizione agiografica, Onofrio è figlio del re di Persia, cui viene detto che il bimbo è, in realtà, frutto dell’adulterio della moglie; il sovrano sottopone alla prova del fuoco il neonato che ne esce indenne. Il fanciullo viene successivamente portato in un monastero egiziano, dove dimostra prodigiose doti di sapienza ed una particolare devozione verso Gesù Bambino, tanto che, impietosito dalla sua indigenza, gli dona un pane, ricevendone, come ricompensa, uno talmente pesante da rendere necessario l’intervento di alcuni monaci per spostarlo.
Il culto di Onofrio è particolarmente diffuso nell’Italia meridionale, dove giunge probabilmente dal mondo orientale-bizantino. Poiché viene descritto e raffigurato avvolto dalla propria barba e dai propri capelli, cresciuti ovviamente a dismisura, nella totale solitudine e nel totale disinteresse per il proprio corpo, viene chiamato Sant’Onofrio il peloso.
Tale caratteristica identificativa lo avvicina alla rappresentazione dell’uomo selvatico, la cui figura, diffusasi in epoca medievale, ha però radici antiche, che sono state fatte risalire al mesopotamico Enkidu, uomo selvaggio creato dagli dei per poter sconfiggere Gilgamesh, ai fauni, a Pan, al dio Silvanus. Nella cultura popolare, e in particolare sull’arco alpino dove il suo personaggio è particolarmente diffuso, l’uomo selvatico vive isolato fra i boschi e le vette, è un abile pastore, un apicultore, è depositario di saperi che elargisce agli uomini delle montagne, per esempio, insegna loro come realizzare il formaggio. Non sempre però i suoi doni sono apprezzati e viene deriso, allontanato, ricacciato nella selva da cui proviene. Come tutte le figure ai margini della società, ha anche tratti ambigui, incute timore, rapisce giovani donne, e, sebbene in generale sia una figura non aggressiva, viene spesso citato come spauracchio. In molti carnevali alpini compare la sua maschera, interpretata da un uomo coperto spesso con pelle d’orso, animale con cui si identifica l’avvento della primavera, dato che con l’arrivo della buona stagione esce dalla sua tana. Durante la celebrazione della festa, viene cacciato e simbolicamente ucciso, come rito propiziatorio per un anno fecondo. Anche sulle montagne a cavallo tra cuneese e Liguria è presente la figura dell’uomo selvatico, il Servàn, il quale, come in altre zone, è spesso accompagnato anche della donna selvatica.
Allorché si sono trovati a dover raffigurare gli anacoreti, i pittori si sono evidentemente ispirati all’iconografia di un personaggio caratterizzato anch’esso dal corpo coperto di peluria, il quale ha inoltre molti tratti in comune con gli eremiti; entrambi, infatti, sono isolati dal consesso umano e circondati solo dalla natura, dai cui frutti dipendono totalmente per vivere, con essa, per quanto inospitale possa essere, hanno quindi una inevitabile fusione, tanto che il vello da cui sono ricoperti riconduce il loro aspetto a quello degli animali.
Il conflitto tra socialità- asocialità, il difficile rapporto del selvatico con il domestico, in realtà caratterizzano anche le relazioni con il mondo eremitico. L’isolamento degli anacoreti li circonda di un’aura di estraneità, ne è un esempio il timore provato da Pafnuzio allorché vede per la prima volta Onofrio. La loro fuga dal mondo e dalle sue lusinghe coincide con la ricerca di una più perfetta ascesi che conduca, attraverso la rinuncia, più vicino a Dio, ma al contempo il rifiuto delle regole comuni può condurre al di fuori di confini stabiliti, rendendo necessario una loro inquadramento.
Consideriamo ora il Sant’Onofrio di Balestrino, il quale mostra alcune peculiarità. Ha, infatti, barba e capigliatura brune, anziché canute, come spesso accade a sottolineare l’anziana età dell’anacoreta, e non sono esse ad estendersi sul corpo, ma è quest’ultimo ad apparire palesemente villoso. Spicca a cingere i fianchi, invece, il consueto perizoma di foglie. Il Santo è poi raffigurato con un bastone che sembra terminare a tau o in forma di stampella, forse per alludere nuovamente alla sua vecchiaia, ma tale particolare lo avvicina ulteriormente all’uomo selvatico, ritratto spesso con un nodoso bastone. Onofrio in mano stringe inoltre un curioso oggetto che si può interpretare come un rosario dai grani particolarmente grandi, forse alludendo ad una sua realizzazione con elementi tratti dalla natura, come nocciole, noci (fig. 2).
Non sappiamo cosa può avere indotto a raffigurare il santo eremita nella chiesa di San Giorgio di Balestrino, ma il possibile legame di quest’ultima con i Benedettini può aver spinto alla rappresentazione del santo dedito all’eremitaggio, cui si dedicò per un certo periodo lo stesso Benedetto.
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Fig. 1, Balestrino, chiesa di San Giorgio, Pantocrator e Santi.
Fig. 2, Balestrino, chiesa di San Giorgio, Sant’Onofrio, part.